domenica 4 giugno 2023

Le chicche del fine settimana: "The bad Kids"

 

“The Bad Kids”: la web series che stravolge gli stereotipi del format e del thriller...di Giorgia Romagnoli

Quando si pensa alle web series, viene subito in mente un prodotto di una certa fattezza e di una certa qualità, sul piano tecnico spesso molto dubbia, causa budget irrisori o comunque decisamente minori rispetto alle serie per la TV.

Bene, con “The Bad Kids” (serie del 2020, visibile sulla piattaforma streaming cinese IQiYi con i sottotitoli in inglese) potete tranquillamente mettere da parte quest’aspettativa, perché ci troviamo di fronte a un prodotto che raggiunge e supera di gran lunga la maggior parte delle produzioni, non solo cinesi, ma dei drama in generale.

Con una regia cinematografica, un’attenzione ai particolari davvero maniacale, una ricercatezza della fotografia che si trasforma in arte visiva pura, e le scelte mirate del comparto musicale che vanno ad attingere al panorama indie e amplificano esponenzialmente l’atmosfera dell’intero drama, questa serie apre le porte (si spera) a una nuova qualità delle web series e dei drama più in generale, a condizione che nel settore verrà presa d’esempio e vista come punto di riferimento, o persino come ago della bilancia.

Le origini

“The Bad Kids” nasce dall’omonima novel scritta da Zi Jinchen, e arriva sullo schermo con molte differenze, non tanto volute dal team di produzione, quanto dalla censura che vige in Cina sui contenuti multimediali per la tv e l’internet.

Dalle informazioni che ho appreso, non avendola letta, la novel è una storia dark (molto ma molto dark), e principalmente enfatizza la parte più oscura dell’essere umano, persino nei bambini.
Il drama invece, mantiene sì lo stampo dark, ma con una piega più “soft”, o per meglio dire, più sfumata: mentre nella versione originale i personaggi sono tutti davvero cattivi e manipolatori, bambini in primis, nel drama si da più ampio spazio all’equilibrio delle cose, mostrando sì, il male e la pazzia, ma anche la speranza, la redenzione, il pentimento e il bene sincero.
Nonostante questo, come dicevo, rimane comunque una storia piuttosto cruda e opprimente, che punta i riflettori sulle brutture non solo delle persone (e dei ragazzini in questo caso, come suggerisce il titolo stesso), ma anche su quelle della società

Informandomi sulle differenze tra le due versioni, penso di non poter giudicare un prodotto che non conosco (la novel), però visto il risultato dell’adattamento, so per certo che ho amato questa serie proprio per il suo viscerale approfondimento dell’animo umano in modo realistico, che non è solo marcio e nero, è fatto anche di sentimenti positivi, e spesso accade che questi due lati siano in continua lotta tra loro.
Oltre a questo, attraverso uno sguardo realistico, si può leggere nell’opera una critica sociale, che non vuole essere sterile, bensì vuole donare delle “soluzioni” e delle “alternative” su come percorrere la strada della propria vita.

L’incipit

Due ragazzini, Pupu e Yan Liang, fuggono dall’orfanotrofio e si dirigono verso la città natale di quest’ultimo per cercare di mettere insieme un’ingente somma di denaro (si scopre ben presto a cosa gli servono). Essendo scappati e sapendo che la polizia li starà cercando, Yan Liang decide di andare a chiedere un appoggio momentaneo a un suo amico di vecchia data, Chao Yang.

Egli vive con la madre, che però non c’è quasi mai a causa del lavoro, così li ospita per qualche giorno: in questo ristretto frangente di tempo accade qualcosa che cambierà per sempre le loro giovani vite.
Mentre sono in gita in montagna, registrano un video in cui cantano, tuttavia mentre lo riguardano a casa, si rendono conto che nel video è stato registrato anche qualcos’altro: l’omicidio di due persone che vengono spinte giù da un dirupo. I tre piccoli protagonisti tuttavia vengono a sapere dai notiziari che questo caso è già stato archiviato dalla polizia come incidente.

Noi spettatori sappiamo fin da subito chi sia l’assassino e i ragazzini lo scopriranno poco dopo. Ma cosa accadrà una volta che sapranno chi è stato, essendo consapevoli di avere tra le mani l’unica prova schiacciante dell’omicidio?

Le famiglie inesistenti o sgretolate di nostri tre protagonisti, preparano un terreno sterile, su cui anche solo far crescere un germoglio sarà quasi utopia: trovandosi abbandonati a loro stessi, arriveranno a commettere atti per nulla leciti, a mentire, a provare sentimenti di cui non comprendono ancora pienamente il significato.

La totale delusione che provano nei confronti di ogni adulto che li circonda li porterà a cercare di cavarsela da soli, nel bel mezzo di una situazione che persino individui più maturi avrebbero fatto fatica a gestire.
Tra omicidi, ricatti, rapimenti, incidenti, bugie, delusioni, paure, invidie e sensi di colpa, questi tre ragazzini come riusciranno a trovare uno spiraglio di luce in mezzo a tutto il buio che li divora? Come distingueranno il bene dal male?


I personaggi e il cast

Descrivere i personaggi di questa storia è estremamente difficile, perché sono talmente reali che è come voler parlare di qualcuno in poche righe: lo si può fare, ma sarà impossibile riuscire a raccogliere ogni minima sfaccettatura. Non solo: per evitare spoiler, non potrò fare riferimento a fatti specifici e approfondire i personaggi quanto si dovrebbe, quindi sono descrizioni molto generali.

Dong Sheng (interpretato da Qin Hao) è un professore di matematica: è lui che compare nella prima scena ed è lui l’assassino.
Ho visto descriverlo anche come serial killer, tuttavia credo che sia una definizione completamente fuorviante, perché gli assassini seriali uccidono con un modus operandi ben preciso e scelgono le loro vittime in base a dei tratti comuni (l’età, il sesso, una caratteristica fisica): i motivi per cui Dong Sheng arriva a uccidere sono ben diversi e indubbiamente più “razionali”, spinto da violente pressioni sociali e dal senso di abbandono e di tradimento da parte delle persone a lui più vicine, sua moglie e i suoi suoceri.
Ora, non voglio dire che non sia mentalmente instabile, tutt’altro, però è bene distinguere un pluriomicida da un assassino seriale, perché se da una parte si è spinti da una razionalità annebbiata o distorta, dall’altra si tratta proprio di atti compulsivi.
La sua psicologia è una continua altalena tra il cercare di trattenersi dal far del male, e l’uccidere in preda a un’esplosione emotiva che con la sua deflagrazione colpisce chiunque gli stia attorno.
Questo aspetto lo porterà a costruire una connessione decisamente particolare con i tre piccoli protagonisti (soprattutto con la bimba), cosa che mette a nudo le emozioni più profonde di questo “mostro”.

Qin Hao ha interpretato questo personaggio controverso e dal doppio volto, con una tale naturalezza da farlo apparire come il ragazzo della porta accanto e, allo stesso tempo, come qualcuno in preda all’annullamento totale della propria umanità, mimetizzandosi perfettamente nel contesto, già contorto di suo.
Per questa sua eccellente interpretazione, che splende senza eccedere mai, Qin Hao ha ottenuto svariati premi, tra cui quello di Miglior Attore Protagonista al Chinese American Film Festival, e quello di Miglior Attore dell’Anno all’IQiYi Scream Night.



Il trio dei ragazzini: Zhu Chao Yang (interpretato da Rong Zi Shan), Yan Liang (interpretato da Shi Peng Yuan) e Pupu (interpretata da Wang Sheng Di).

Chao Yang è un ragazzino estremamente intelligente e intuitivo, e anche profondamente segnato dalla separazione dei genitori e dalla quasi totale assenza del padre, concentrato ormai sulla famiglia che si è ricostruito dopo, sua moglie e sua figlia. In più, è circondato dalla solitudine e abbandonato a sé stesso: a casa, perché la mamma non c’è mai, a scuola, perché i compagni lo isolano, e anche al di fuori, perché non ha nemmeno un amico.
Inizialmente appare molto sulle sue, silenzioso, diligente, quasi robotico in certi aspetti, tuttavia lo vediamo aprirsi quando Yan Liang e Pupu bussano alla sua porta e gli chiedono aiuto.
Il suo personaggio è senza dubbio il più ambiguo e anche il più inquietante, anche più dell’assassino stesso, proprio perché è un bambino. Durante il drama vengono dati tantissimi indizi sull’oscurità che aleggia nella sua mente e nel suo animo, anche se in alcuni casi non viene palesato (sempre per via della censura).



Yan Liang e Pupu, come già spiegato in precedenza, vengono entrambi da due realtà difficili, in cui l’unico spiraglio di calore umano è stata propria la vicinanza reciproca. Si ritrovano a crescere in orfanotrofio, il primo separato dal padre anni addietro, e la seconda (orfana di entrambi i genitori) separata dal fratellino, affidato a una famiglia adottiva. Facendosi forza l’uno con l’altra, fuggono da quel luogo e, cercando di sopravvivere con piccoli furti di beni di prima necessità, arrivano nel luogo in cui inizierà la catena di eventi.
Il loro rapporto è viscerale, sono davvero come fratello e sorella e non c’è niente che non farebbero per proteggersi a vicenda, nonostante la tenerà età. Questo perché sono cresciuti nell’ottica del “fare il possibile per rimanere a galla”, senza possibilità di distinguere un’azione buona da una meno buona, perché solo chi vive in una realtà in cui si hanno più alternative, ha il lusso di riconoscere i limiti e non superarli.

Sebbene il loro rapporto a tre appaia inizialmente come un’amicizia molto forte e genuina, man mano che la storia procede si percepisce sempre di più che c’è qualcosa di malsano e di contorto che li lega: c’è una sottilissima linea che separa il bisogno di stringere un rapporto profondo e di fiducia con qualcuno, e l’attrarsi vicendevolmente perché si intravede qualcosa di oscuro.

Per quanto riguarda l’interpretazione di questi tre giovanissimi attori, che dire? Sono rimasta davvero senza parole. Non ho mai avuto il piacere di vedere dei ragazzini così talentuosi, e tutti insieme tra l’altro: è stato come vincere un terno al lotto. Senza la loro interpretazione così vera, sentita e intensa, il drama avrebbe perso molto del suo valore, perché per quanto girato bene, per quanto scritto bene, se gli attori principali non riescono a trasmetterti emozione, trascinano giù anche il resto per forza di cose.
Sia Rong Zi Shan, sia Shin Pen Yuan hanno visto riconosciuta la loro bravura, vincendo, all’Iqiyi TV and Movie Awards, il Premio come Miglior Attore Esordiente nella Categoria Serie tv. In più Rong Zi Shan ha vinto il Premio come Miglior Attore Esordiente al secondo Asian Content Awards a Busan International Film Festival.



Ora passiamo a quello che probabilmente è stato il mio personaggio preferito, cioè Zhu Yong Ping (interpretato da Zhang Song Wen), il papà di Chao Yang. Diciamo che lui è quello che mi è arrivato di più, forse perché il più realistico in assoluto e perché sarà colui che dovrà affrontare la lotta interiore più aspra e difficile in quanto genitore.
Scenicamente parlando, nel portare sullo schermo un papà qualsiasi, con i suoi pregi e i suoi difetti, si potrebbe incappare in un personaggio “fantasma”, di quelli che si notano poco. Tuttavia il suo essere così comune in modo tanto tangibile, lo ha reso ancora più visibile e centrale, perché è un personaggio con cui tutti possono correlarsi.
A mio avviso, il suo è il destino più tragico di tutti all’interno della storia, sebbene inizialmente sembri meno centrale come presenza: attraverso un dolore che non riesce a metabolizzare e un’esperienza che avrebbe devastato chiunque, si rende lentamente conto che forse Chao Yang non è esattamente il bravo ragazzino che appare esternamente, tuttavia si sente anche in parte responsabile per ciò che sta diventando e così cerca di recuperare il rapporto con il figlio, ormai indebolito negli anni, e che avrebbe potuto finire per polverizzarsi del tutto.

Anche in questo caso possiamo assistere a un’interpretazione magistrale, perché forse, più è “comune” un personaggio, e più è difficile dargli personalità e farlo brillare, e in casi come questi è ancora di più l’attore a fare la differenza. Zhang Song Wen ha dato vita a un papà più umano che mai e ha dato voce a quei genitori che cercano con tutte le forze di rimediare ai propri errori.


In questo quadro complesso subentra anche l’attuale moglie di Yong Ping, Wang Yao (interpretata da Vivien Li), una donna molto più giovane di lui, da cui ha avuto una figlia.
Lei ci appare come una donna piuttosto scontrosa: non ha un bel rapporto con Chao Yang, lo vede come un intruso nel loro nucleo famigliare, e ha trasmesso questo sentimento anche alla bimba, che per gelosia tratta il ragazzino come un fastidio.
Anche lei è un personaggio interessante e del tutto necessario, e come Yong Ping, diventerà più centrale man mano che gli eventi si intrecceranno. Sebbene inizialmente possa apparire come una persona sgradevole, conoscendola meglio, si proverà anche molta compassione nei suoi confronti.

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Ora veniamo alla mamma di Chao Yang, Chun Hong (interpretata da Liu Lin), una donna che ha represso per anni il dolore per il tradimento del marito e il conseguente divorzio, e per riuscire a superarlo si è gettata a capofitto nel lavoro e nel cercare di crescere suo figlio da sola: tuttavia, non sempre i buoni propositi portano a risultati altrettanto buoni.
Come vedremo, è un personaggio con cui è difficile instaurare un dialogo onesto ed è molto opprimente: crescendo, ha portato a far isolare Chao Yang da chiunque, perché ritiene che avere amici lo distrarrebbe. L’unico metro di valutazione che utilizza per capire se il figlio stia crescendo bene o meno, sono i suoi risultati scolastici: finché ottiene buoni voti e fa il suo dovere in quanto studente, allora è un bravo ragazzino.
Ben presto, però, si renderà conto di non conoscere affatto Chao Yang, e di non aver mai speso abbastanza tempo con lui per poter davvero giudicare in che tipo di persona si stia trasformando (aspetto che la farà cadere in un perenne stato d’ansia quando si renderà conto che suo figlio e il padre si stanno riavvicinando, con la paura di essere lasciata completamente sola).
È senza dubbio un personaggio frustrante, ma che ha probabilmente fatto il meglio che poteva nelle condizioni in cui era, e il bene per suo figlio, anche se dimostrato in maniera a volte fredda e contorta, è totalmente sincero.



Per ultimi, ma assolutamente non per importanza, abbiamo due figure adulte che sono lì all’evidente scopo di stare esclusivamente dalla parte dei più piccoli, e quindi donare equilibrio a quest’opera tanto cruda e dura: due poliziotti, uno che sta per andare in pensione, Guan Sheng (interpretato da Wang Jing Chun) e l’altro più giovane, Ye Jun (interpretato da Lu Fang Sheng).

Ye Jun è un padre che sta crescendo sua figlia da solo e che, nonostante il suo lavoro gli impegni buona parte della giornata, cerca sempre di darle tutte le attenzioni e l’appoggio possibili.
È lui che seguirà maggiormente i vari casi che si susseguiranno, e che pian piano si accorgerà che ha a che fare con qualcosa di estremamente più complesso e inquietante di quanto avrebbe immaginato, ma nonostante questo non vuole credere fino in fondo che dei ragazzini della stessa età di sua figlia potrebbero mai arrivare a compiere gesti estremi.
Questa figura paterna così amorevole e attenta, così comprensiva e apprensiva anche nei confronti degli altri ragazzi della storia, mette ancora più in risalto i lati negativi degli altri adulti.


Guan Sheng è un personaggio che personalmente ho amato moltissimo: un poliziotto che sta per andare in pensione e che riflette sul cosa ne sarà di lui dopo che abbandonerà il lavoro a cui ha dedicato tutta la sua vita. In questo contesto, l’apparizione di un ragazzino (Yan Liang), figlio di un uomo che aveva arrestato anni prima, sconvolgerà ogni sua previsione.
Yan Liang ha del risentimento nei suoi confronti, vedendolo come un “nemico” che lo ha separato dal padre, tuttavia, sebbene il rapporto tra i due rimanga sempre turbolento per via dell’atteggiamento ribelle del giovane, alla fine si renderà conto che è l’unico adulto di cui può veramente fidarsi.

La sua presenza è fondamentale, sia per lo svolgersi degli eventi e sia per una presa di coscienza di Yan Liang, perché sarà colui che lo porterà maggiormente a riflettere su ciò che i tre stanno combinando e a farlo titubare nel fare determinate scelte che potrebbero rovinargli la vita per sempre.
D’altronde, nello totale sfiducia nei confronti dei grandi, vedere un adulto che lo affronta con onestà e che si interessa alla sua incolumità, è l’unica cosa che può riuscire a scalfire quel muro di protezione che si è costruito.

La caratteristica che di sicuro accomuna tutti i personaggi è che sono imprevedibili: non si riesce mai a intuire come ognuno di loro reagirà, e di conseguenza che piega prenderanno gli eventi, ed è questo che rende la web series tanto allettante e ipnotica.
Un po’ come nella realtà, in cui le varianti e le possibilità sono infinite e non c’è un copione, e non si può sapere cosa accadrà o come reagiranno le persone a un determinato evento: anche ci fosse alla base una conoscenza di anni o di una vita intera, l’imperscrutabilità dell’animo umano, non ci permette mai del tutto di “leggere” gli altri e di vederne ogni lato della personalità.


Tra favole, cartoni animati e leggende

In “The bad kids” ci sono svariati richiami al mondo delle fiabe e delle favole, tuttavia non si fa riferimento a una connotazione positiva e disneyana delle stesse (che è totalmente moderna), bensì a quella classica.

Le origini di queste due forme di racconti sono antichissime (si parla di millenni): il perché l’uomo utilizzi, sin da tempi remoti, queste forme di scrittura può risiedere nel fatto che tramite la fantasia si può arrivare a parlare di qualsiasi cosa, tangibile o meno, e con un linguaggio semplice e diretto si può arrivare a chiunque, così il messaggio, tramite metafore, allegorie e parallelismi, risulta chiaro.

Chi ha un minimo di dimestichezza con fiabe e favole sa bene che spesso non hanno il lieto fine e sebbene il tono utilizzato possa essere anche pungente e ironico, hanno delle atmosfere tutt’altro che allegre e gioiose: molto spesso c’è una morale (esplicita o meno) alla base del racconto, o ancora un ammonimento.
Questi messaggi nascono da un’analisi di ciò che ci circonda, il che può significare la valutazione dell’animo umano, della società in cui si vive, del rapporto con gli altri, e via dicendo.
Ciò che porta di più lo scrittore e il lettore a riflettere e imparare qualcosa, è una situazione negativa o perlomeno rischiosa. Scrivere storie liete che finiscono bene potrebbe comunque far passare un messaggio utile, ma di sicuro l’essere umano, comandato dall’istinto e dalla paura, assorbe meglio qualcosa su cui deve fare attenzione, piuttosto che qualcosa che lo renda felice.
Insomma, non c’è bisogno delle avvertenze per l’uso sulla carta delle caramelle, ma sul contenitore delle medicine o dell’acido muriatico sì.

Solitamente il destino della sigla iniziale (ammesso che sia presente) è quello di essere saltata, a parte magari il primo episodio in cui la si guarda e ascolta per curiosità.
Questo è uno di quei rarissimi casi in cui non solo è talmente d’impatto che ti spinge a lasciarla scorrere, ma oserei dire che è addirittura necessaria per entrare totalmente nel mood di ogni episodio, sia per l’atmosfera della musica, sia per le varie similitudini create tramite le animazioni: immersi in uno sfondo completamente nero, i tre ragazzini (più simili a fantocci) colorati di bianco, viaggiano tra gli elementi che vedremo nel drama (la montagna, la barca, ecc.) e come in una sorta di incubo, assistono all’omicidio e vengono poi rincorsi da un enorme fantoccio nero (che sarebbe l’assassino).
Il tutto è un vero e proprio preludio a ciò che si verificherà nella serie e carica lo spettatore della giusta angoscia per godere appieno della visione.

Questo breve corto animato appare all’inizio del decimo episodio (non vi preoccupate, non è spoiler). Qui abbiamo rappresentata una favola, con tutti gli elementi che la contraddistinguono: c’è una volpe cattiva e tre pulcini indifesi che corrono il rischio di addentrarsi nella casa del nemico, per poi venire cucinati e mangiati dallo stesso (non sto qui a dilungarmi sulla morale, è fin troppo palese). Anche questa è una chiara similitudine con la storia del drama, o meglio, sembra essere messa lì per aumentare lo stato d’ansia sugli ultimi episodi, in cui ci si chiede come andrà a finire, del tipo: “sarà solo un parallelismo con il rischio che stanno correndo i tre ragazzini o accadrà davvero?”.

Molto significativa è anche una storia che Dao Sheng racconta a Chao Yang (e alla classe intera) durante una lezione, riguardante l’esistenza di varie leggende sulla creazione degli assi cartesiani e sulla morte del matematico e filosofo Cartesio: il professore chiede ai ragazzi in quale versione credano, se a quella più inverosimile (e molto romantica), o a quella più realistica.
Questa storia verrà ripresa in più di un’occasione, ed è un continuo riferimento al fatto che i tre ragazzini abbiano qualcosa di contorto in loro, soprattutto Chao Yang: quindi, cosa fare? Fare finta che non sia vero, illudersi e illudere gli altri che questa parte non esista (versione romantica della leggenda), oppure guardare in faccia la realtà e scendere a patti con chi si è davvero (versione realistica della leggenda)?

Quando la musica diventa un elemento narrativo


Il video sopra riportato contiene le sigle di chiusura della serie. A dispetto di quanto indicato nel titolo, non si tratta di una OST (ossia, Original Soundtrack): a parte quattro brani (tre dei quali versioni della stessa canzone), tutti gli altri provengono dal repertorio di band e artisti della scena alternativa cinese.

Si tratta di nomi perlopiù ignoti al grande pubblico locale, ma di grande culto presso gli appassionati di musica più ricercata. I brani di spicco sono quelli di Muma (“You yu“), P.K.14 (“Yin ni zhi ming“) e Joyside (“Good Night“), tre gruppi storici, con venti o più anni di carriera alle spalle.

Come accennato, il decimo brano del video è l’unico originale e vede la firma di Ding Ke, un compositore cinese di musiche per film. Ding Ke ha composto anche altri pezzi per il drama, compresa la sigla di apertura che ho precedentemente analizzato.

Gli altri tre brani di cui parlavo (tre versioni dello stessa canzone), non provengono dal panorama indie, bensì da quello folkloristico: sono il primo, l’undicesimo e l’ultimo. Il brano si intitola “Xiao bai chuan” (“La piccola barca bianca”), ed è una filastrocca per bambini. Nata in Corea nel 1924, durante l’occupazione giapponese, col titolo di “Ban-dal” (“Mezza luna”), venne tradotta nel 1955 in cinese e divenne presto nota in tutto il paese.

In generale, non è molto comune trovare musica così di “nicchia” nelle serie, o almeno non per intero, tuttavia il regista, Xin Shuang, essendo anche un chitarrista, avrà senz’altro saputo dove indirizzarsi per trovare pezzi adatti all’opera e affini all’impatto emotivo della storia.

L’elemento comune dei vari brani (originali e non) è da ricercarsi nell’atmosfera, costantemente cupa e che crea una sorta di inquietudine “sorda”: ciò non solo riflette l’aria generale che si respira nel drama, ma è uno degli elementi che maggiormente amplifica l’atmosfera stessa.


La peculiarità dell’opera

Esistono tanti tipi di thriller (o di drama in generale): d’azione, d’atmosfera, frenetici, lenti e incalzanti, avvincenti, cupi, ma onestamente è la prima volta che mi capita di vedere un thriller con un marcatissimo stampo slice of life, che sviluppa la trama con il fine ultimo di dare vita a una storia di formazione. Questa serie è riuscita a mixare ingredienti assolutamente distanti tra loro, con un risultato straordinario e inaspettato.

“Extracurricular”

Detto questo, ho cercato di rapportare la serie a qualche altro titolo con cui potesse avere delle caratteristiche in comune: quasi subito mi è venuto in mente “Extracurricular“, anch’essa un’opera di critica sociale, che denuncia svariate problematiche gravi in cui i ragazzi, consciamente o meno, possono finire intrappolati, come la prostituzione minorile, la droga (spesso due mondi correlati), o qualsiasi altra attività illegale, e il più “comune” bullismo.
Anche qui, come in “The Bad Kids”, c’è una destrutturazione del genere di appartenenza (sia scolastico, sia crime), ed entrambi sviscerano i lati più “sporchi” e crudi della società, arrivando al nocciolo e analizzando l’attribuzione di responsabilità.

“Children of Nobody”

“Nobody Knows”

Poi mi sono venuti in mente due thriller: “Children of Nobody” e “Nobody Knows“, opere che hanno molto a che fare con bambini e ragazzini, con la loro crescita in situazioni complesse, e sono entrambi incentrati su orrori di cui sono vittime, come l’abuso e la violenza sui minori (non solo fisica, ma anche psicologica).

E fin qui ci siamo. Tuttavia, proprio questi accostamenti hanno evidenziato maggiormente l’unicità di “The Bad Kids”: per quanto riguarda “Extracurricular”, le due differenze sostanziali stanno nel fatto che, innanzitutto non è di genere thriller, e in secondo luogo ha un ritmo molto più sostenuto. Per entrambi i motivi, la storia è improntata su dinamiche completamente differenti di regia e sceneggiatura.

Negli altri due casi invece, è vero che si tratta di due thriller che affrontano problematiche legate ai ragazzi e basati sull’influenza che gli adulti hanno su di loro e sulla loro crescita, ma il tutto è comunque strutturato sulla ricerca dell’assassino seriale di turno e quindi sulle indagini del caso, e tramite queste viene dato modo di sviluppare parallelamente gli altri temi: quindi il modus operandi è comunque quello “classico” del thriller.

Come dicevo all’inizio, “The Bad Kids” prende generi che sembrano come impossibili da miscelare, e struttura il tutto partendo dalla fine, cioè dal mostrare l’identità dell’assassino e, di fatto, la parte investigativa non è nemmeno granché centrale. Perché? Qui passo al prossimo blocco.

Il messaggio, la denuncia sociale

The bad Kids non è il classico thriller che ti vuole tenere incollato alla sedia (nonostante sia colmo di momenti di suspance e pathos), bensì è una storia che vuole mostrare come anche nelle situazioni che sembrano “normali” possa nascondersi qualcosa di estremamente marcio e distorto, e ancora di più mettere in risalto il “lato oscuro della luna”, quella parte della società che annega nelle difficoltà, nelle incongruenze e nelle contraddizioni.

Se dei ragazzini arrivano a compiere gesti che non dovrebbero appartenere alla loro età, se fanno errori che possono diventare irreparabili, su chi deve ricadere la colpa? Quanto incombe l’influenza degli adulti sulla loro visione della vita e sul loro carattere? E se emergesse la loro parte oscura, in chi dovrebbe risiedere la responsabilità?

In questo senso è rivelatrice una piccola parte tra Yan Liang e il suo padre naturale, in cui il ragazzino dice: “Ti ricordi di avermi detto che volevi che diventassi una brava persona? Beh, io davvero non so cosa voglia dire essere una brava persona“.
Queste parole sono indice della totale mancanza di qualcuno che gli facesse da esempio e che gli tracciasse la strada, anche su dei concetti che potrebbero sembrare banali, come appunto “bene” e “male”, e “giusto” e “sbagliato”.

La storia ci mostra l’impatto totale e devastante che gli adulti, con le loro scelte, hanno sui più piccoli, ed è bene evidenziare che non si parla esclusivamente della responsabilità dei genitori o del rapporto genitori-figli, bensì, con una visione a ben più ampio spettro, della responsabilità di ognuno di noi in quanto adulti della società.

L’ultima domanda che rimane da porsi potrebbe essere: “Perché è stato scelto proprio il genere thriller per mostrare certe realtà e per veicolare certi messaggi?”. Credo che la risposta possa risiedere nel fatto che, tramite l’omicidio che innesca tutti gli altri eventi, si voglia trasmettere chiara la visione di una società che sta abbandonando i più piccoli e che li sta costringendo sempre di più a cavarsela con le proprie forze: finché va tutto bene, non ci sono problemi, ma cosa accade nel momento in cui si trovano ad affrontare situazioni più grandi di loro? Cosa scatta nella loro mente? Come si comporteranno se non hanno nessun adulto accanto di cui si fidano davvero e che li protegga?

Ovviamente il caso di omicidio può essere visto come un estremo, ma credo che la casualità con cui loro tre ci finiscono in mezzo, registrando per pura coincidenza il reato, riporti il tutto a una dimensione più realistica della storia, che da lì in poi non fa che diventare sempre più concreta e vivida. 

Se volete avere altre info, su altri drama giapponesi, coreani, e cinesi come questo di cui abbiamo parlato in questo post. Vi invito a andare sul sito (da cui ho gentilmente preso questa recensione) "I vicoli di Dramatown".

Fonte della recensione e analisi di questo drama qui...




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